L’economia bolognese si è fermata.
Anzi sta arretrando .
Il piano inclinato
Fateci caso : il modello che potrebbe descrivere al meglio un’azienda ed il relativo sistema economico potrebbe essere visualizzato con una sfera su un piano inclinato.
Non esiste un punto di equilibrio stabile : o si sale o si rotola giu’.
Per continuare a salire occorre fornire alla sfera sul piano inclinato , energia (che si trasforma in moto).
La stessa cosa accade per le aziende : o si continua a crescere o si cala: non c’è un punto di equlibrio stabile .
Purtroppo non tutti gli imprenditori sono chiaramente consapevoli di questo fatto; molti cercano di attuare azioni di stabilizzazione , che però sono inutili perchè l’unico modo per avere una condizione stabile potrebbe essere quello di non essere su un piano inclinato ,ma su uno orizzontale.
Il piano inclinato rappresenta le condizioni esterne ed il contetso esterno all’azienda: il mercato, la concorrenza, la stabilità politica e finanziaria del Paese ove si è e in quelli ove si opera…
Non si può sperare di livellare il piano inclinato.
La Confindustria Bologna, commentando i poco incoraggianti dati ( leggetevi l’articolo nel link https://corrieredibologna.corriere.it/bologna/economia/19_settembre_06/si-ferma-anche-l-economia-bolognese-252f480c-d073-11e9-b027-22bbcb953a19.shtml?fbclid=IwAR1h-t1agaQbRqzajTAxog6DVQctFh3RAgLrwMMH8qlUSc1f1fXyjF9BWYk&refresh_ce-cp ) nell’ambito di “FARETE” , una sorta di fiera expo degli iscritti al sodalizio degli industriali , ha continuato a ribadire la necessità di interventi di Stato mirati ad una defiscalizzazione che possa ridare ossigeno agli imprenditori.
Ma siamo sicuri che la risposta è questa ?
Il principio del piano inclinato direbbe di si’: recuparare energia per l’industria in modo che non si rischi di rotolare giù !
Ma chi mi conosce sa bene che la mia prima domanda è sempre “Perchè ?”
Le cause ? Cerchiamo ponendoci le giuste domande
Perchè sono calati gli ordinativi verso l’industria metalmeccnica bolognese ? Si tratta di un dato generale mondiale o quegli ordini ch enon sono arrivati a Bologna hanno preso la strada di altri fornitori in altri Paesi ?
Perchè l’impulso che si voleva dare con Industry 4.0 ed i super ammortamenti non ha ottenuto in pieno i risultati desiderati ?
Perchè l’Italia , nonostante abbia oggi uno dei costi di manodopera più bassi dell’intera Europa , non è competitiva ?
Pur stimando gli esperti di confindustria ritengo che la loro ricetta sia da cambiare…e analizzando i “perchè” si può arrivare alle cause.
Gli investimenti in innovazione, macchinari più moderni regolati da sistemi di interfaccia in cloud, la comunicazione fra macchine etc… che costituiva la linea dorsale del progetto Industria 4.0 non sembra aver funzionato perchè pur avendo consentito una forma di ammodernamento e di efficentamento aziendale, non ha determinato un calo dei costi ed un aumento della Qualità tale da rendere appetibile per il mercato rivolgersi al fornitore Italia.
Mi sento di dire che , ancora una volta, si è investito in modo sbagliato: la vera crescita di un’azienda non sta nel comprare macchine nuove, ma nel far crescere la sua cultura.
Bisognava investire nelle persone, nel management, nella cultura e nella formazione.
Un’intervento di riduzione del peso fiscale in azienda sarebbe sicuramente un’impulso notevole, a patto però di sapere dove e come investire il risparmio derivante da una pressione fiscale meno opprimente di quella attuale.
Ed è qui che si gioca la partita !
Poca formazione = poca cultura = poca crescita
Ad un workshop tenuto in Farete Gianmarco Biagi sosteneva con vigore quanto gli imprenditori italiani siano bravi, creativi , eccellenti e di quanto questa capacità ci venga riconosciuta ; non mi sento di confutare l’esperienza di Biagi, ma quello che lui asserisce era sicuramente vero forse 10 o 15 anni fa , quando i nostri migliori ragazzi non erano costretti a cercare di realizzare e applicare le loro conoscenza universitarie all’estero . In un Paese in cui un laureato tecnico deve friggere patatine da Mac Donald per mantenersi c’e poco spazio per innovazione e creatività da portare in azienda.
Io non so se a Gianmarco Biagi capita, come al sottoscritto, di leggere i curricula di molti giovani che si approcciano al mondo del lavoro : in tantissimi le esperienze lavorative pregresse sono relative ad attività che non hanno niente a che fare con il titolo di studio : ingegneri meccanici che hanno fatto i cuochi nei fast food, elelttronici che “vantano” esperienze nei call center della telefonia, chimici con esperienze come dog sitter !
Questo spinge i giovani a studiare all’estero, ove le stesse università si preoccupano di connettere i loro laureati al mondo del lavoro , riducendo i costi degli studi attraverso prestiti supportati da istituti bancari che poi recuparano il denaro prestato agli studenti , solo quando questi sono impiegati nel mondo del lavoro con contratti adeguati (succede cosi’in Inghilterra, negli USA etc…ma da noi ???)
Se effettivamente le aziende potessero contare su un carico fiscale meno esoso , le risorse ecomiche dovrebbero in primis essere orientate a salari piu’ alti ed equi a supporto del giusto riconoscimento di formazione, comeptenza ed esperienza.
Non possiamo vincere una battaglia sul costo del lavoro combattendo con le stesse armi di Paesi che possono permettersi salari bassissimi : è un gioco al massacro che ci vedrebbe, come sta succedendo, soccombere.
Come si continua salire sul piano inclinato ? Investendo si , ma su “motori di cambiamento” , quelli che sono ancora oggi patrimonio del nostro ingegno italiano : PROGETTAZIONE , QUALITA’ , SERVIZIO, CONOSCENZA e COMPETENZA…non solo macchine ed elettronica : fra gli investimenti riconosciuti come finanziabili nell’ambito di industria 4.0 non c’erano ne’ formazione ne’ consulenza, mi volete spiegare come si colma un gap tecnico prestazionale e si innova in progetto, prodotto, processo e qualità ?
SAPERE è POTERE
Infine se Confindustria si aspetta che sia lo Stato , attraverso il governo, a risolvere i problemi delle aziende italiane, dimostra , come minimo, una certa ingenuità.
Certo lo Stato deve consentire all’azienda di operare in un contesto più idoneo, deve essere rappresentativo all’estero e rassicurare i mercati e agevolare l’Impresa Italiana garantendo condizioni fiscali sostenibili e difendendo l’Italia dalle speculazioni di Paesi esteri , ma il cambiamento deve essere operato nelle aziende e dalle aziende attraverso la diffusione di cultura manageriale a livello degli imprenditori.
Purtroppo mi capita di incontrare imprenditori che affrontano l’evoluzione delle loro azienda applicando equazioni e formule che non sono più attuali : “per vendere di più bisogna produrre di più a prezzi più bassi ”
NO ! Per vendere di più bisogna essere più attrattivi per il mercato , più performanti e veloci , mantenendo la conformità a requisiti di qualità sempre più elevati ,che riguardano soprattutto il servizio, la business continuity e la crescita del personale , la vera ricchezza di un’azienda.
Per vender di più occorre fare Piani Strategici basati su dati e conoscenza del concorrente e del cliente e dei sistemi di comunicazione per mostrare e dimostrare i punti di eccellenza che si hanno.
Per vendere di più occorre SAPERE di più.